Le nostre valli sono ricche di borghi nascosti e paesaggi puri, iniziamo dal primo, uno dei nostri luoghi preferiti.
In mezzo al bosco, tra Borgo Preplans e Navaros in Val Colvera, si trova un piccolo caseggiato abbandonato conosciuto come ‘Borgo Galìna’.
Si sa poco di questo gruppo di case abbandonate che hanno oramai donato le loro mura alla voracità della natura.
Si pensa addirittura che il nome possa avere qualche origine celtica: Galìna viene identificato come un cognome di natura celtica usato e originario della Bulgaria. In effetti nei nostri territori si suppone siano vissute popolazioni celtiche e ciò è stato confermato anche grazie ad alcuni ritrovamenti, in particolare quelli scoperti nelle zone di Montereale Valcellina.
La borgata fu abitata fino agli anni sessanta e gli ultimi abitanti furono due simpatiche vecchiette molto gentili ed accoglienti. Fino a quel periodo, in particolare durante il periodo estivo, il borgo respirava vita. Più persone dalle borgate circostanti erano sue ospiti, e la principale attività era la fienagione per il nutrimento del bestiame. Rispetto ad oggi, tutta la zona era ricca di prati ben curati e i boschi erano circoscritti solo ad alcune zone. Il paesaggio era molto più aperto, ricco di vigneti e alberi da frutto.
Mia mamma Graziella mi racconta con nostalgia che anche lei passava alcuni giorni in quelle case. Erano giorni felici, pieni di allegria, immersi in un ambiente sereno e dalla natura più bella. Dormivano nei fienili e passavano le giornate nei prati ricchi di fiori d’ogni colore.
Raggiungere Galìna non è complesso, spesso il percorso è segnato da vecchi sentieri delimitati da muri a secco realizzati con tale maestria da resistere all’incuria del tempo. A riguardo, Nonna Caterina mi narrava che in passato gli abitanti delle borgate erano soliti ritrovarsi una o due volte l’anno per dedicare una giornata alla manutenzione dei sentieri che collegavano i vari abitati. Mi viene quasi da sorridere pensandoci, perché l’importanza del gesto nasconde in sé molteplici sfumature come il senso di comunità, la reciproca sussidiarietà, il senso del vivere insieme. Iniziative che nascevano spontanee per necessità, ma anche per forte responsabilità, rispetto per l’ambiente circostante e per chi lo viveva.
Amo andare in questo posto. Solitamente la meta di una camminata in montagna coincide con un bel paesaggio da ammirare, un’opera d’arte, un frutto da raccogliere o un animale da sorprendere. In questo caso per me è diverso. Il percorso stesso diventa la meta!
Il cammino si rivela ogni volta una concentrazione di emozioni, sensazioni per poi giungere alla borgata che emana un’energia particolare. Oggi va di moda parlare di Forest bathing e a modo mio lo pratico lungo questo percorso.
Adoro andarci anche in solitaria perché solo percorrendo il percorso con cuore aperto e con la mente libera, riesco ad accogliere ciò che il bosco vuole comunicarmi.
Una volta entrato nella foresta dietro Borgo Preplans cambio automaticamente frequenza. I sensi si amplificano, il pensiero rallenta e si purifica, la percezione del tempo diventa più lenta o quasi assente. La natura mi accoglie e inizia a comunicare.
Il canto degli uccelli accompagna la scoperta. Gli alberi mi osservano e mi avvolgono. Appena il ritmo del corpo diventa tutt’uno con ciò che mi circonda mi immergo in una nuova dimensione. Mi accorgo nuovamente di essere parte di tutto questo. Non ci sono artefatti, non ci sono filtri…c’è solo l’essere.
Il bosco che mi circonda è selvaggio, si dice “wild” nel linguaggio di vendita e, a mio avviso, ciò non toglie fascino al tutto, ma probabilmente ne dona ancora di più dandomi la possibilità di assaporare l’essenza.
Quando procedo a passo lento nel mio viaggio, voglio sempre capire se c’è qualcuno che mi accompagna nel mio cammino. Ascolto i rumori in lontananza e cerco di percepire i movimenti.
Ecco all’improvviso che scovo i miei primi compagni d’avventura: un giovane capriolo che si allontana facendo slalom tra gli alberi fermandosi di tanto in tanto ad osservare chi sta invadendo il suo habitat.
Però non è l’unico abitante del bosco che sono solito incontrare. Ai piedi di un grande tronco osservo delle foglie secche muoversi impercettibilmente. Eccola, simbolo alchemico: la salamandra. Nonostante sia frequente trovarla nei nostri boschi mi regala sempre una certa meraviglia vederla. Ha un andare lento, riflessivo e sfoggia dei colori ipnotici: un fondo nero lucido con delle macchie giallo profondo.
Cammino sotto la volta della foresta ascoltandola, cullandomi con il rumore delle foglie tremolanti e i dolci soffi di vento che lambiscono la sua estremità.
A metà percorso mi accoglie immancabilmente l’urlo soffocato del vecchio castagno. Ha avuto un ruolo importante in passato. Era l’ancoraggio della teleferica che consentiva di portare il legname a valle. Purtroppo ha donato la vita per servire l’uomo ma non riserva rancore, è rimasto lì a testimoniare quello che è stata la sua forza.
Il sentiero si snoda tra faggieti, castagni, frassini e carpini. A volte è anche sbarrato da qualche albero caduto nell’ultimo temporale. I profumi si alternano facendo riaffiorare ricordi, alimentando desideri giocando continuamente con i nostri sensi. L’albero disteso sul letto del bosco restituisce la sua energia alla terra. Vi trovano dimora migliaia di esseri viventi e dona vita ai funghi più diversi.
I ciclamini, quasi invisibili nel mare giallo del fogliame secco, si fanno notare per la loro brillantezza. Il ruscello in lontananza fa da colonna sonora mentre l’aria diventa più fine, le narici ne percepiscono l’umidità e i muschi emanano il loro profumo.
Giunto in Galìna sento un turbine di emozioni: da un lato la malinconia di un posto abbandonato, di una storia che non c’è più; dall’altro sento l’energia del vissuto e della natura che lo circonda.
Il benvenuto è dato da una piccola opera d’arte artigianale in ferro, rappresentante la Vergine Maria. Opera creata e donata a questa terra da Gigi e Meni, due icone di Borgo Preplans. L’opera regala al viandante un tocco di luce speciale rivolta alla spiritualità del creato.
Guardando oltre si intravede lo sviluppo del caseggiato. Alcune case sono crollate sotto il peso del tempo, altre invece mantengono ancora l’architettura originale. Le finestre sembrano ancora far uscire le voci degli abitanti, i rumori del vivere quotidiano. I muri, rigorosamente in pietra, ergono ancora ritti anche se mostrano le rughe profonde scavate dagli anni.
All’interno, i soppalchi sono crollati, i tetti oramai sono raffigurati dalle chiome degli alberi. Il fogolar distrutto ha ancora i segni della fiamma spenta, mentre il lavabo in pietra – presente fino a pochi anni fa – è stato portato via avidamente.
Mi siedo su ciò che resta del muro di cinta di una casa e osservo in silenzio il bosco in tutta la sua profondità. Mi accorgo subito che in realtà il luogo non è affatto disabitato. L’uomo l’ha abbandonato, ma la natura vi si è insediata. Il picchio muratore bussa forte, il cervo ha lasciato la sua impronta, probabilmente la volpe viene a mangiare l’uva che cade dalle viti ancora produttive vecchie di cent’anni.
Riempio i miei sensi e cerco di capire il messaggio. Decido di prendere la via di ritorno. Mi imbatto però in nuove e spontanee segnaletiche posizionate durante il periodo della pandemia. Mi rendo conto che non sono in un punto qualsiasi della cartina. È un crocevia: da un lato potrei raggiungere Navarons, il Lago di Redona, dall’altro Meduno e Preplans e ancora Forcela, Valdestali e Frisanco.
Alla fine, mi rendo conto che Galìna non è più un luogo sperduto, la pandemia ha fatto riscoprire angoli dimenticati, i posti più vicini hanno conquistato nuovamente la meritata bellezza. La sensibilità si è risvegliata. Qualcuno ha nuovamente avuto il coraggio di sentire la magia che può regalare il nostro territorio!
Lunga vita a Galìna!